In seguito il Fissiraga gratifica con munifiche regalie il Convento e negli anni successivi l’esempio e’ seguito da molte famiglie nobili lodigiane.
(…) Oltre all’aspetto temporale Antonio Fissiraga provvede anche a quello spirituale: e’ lui infatti che implora ed ottiene il Rescritto del 1311 “coll’Indulgenza di 40 giorni per chi visitasse il Monastero di S. Chiara”.
Due anni dopo vengono accettati anche i legati di Flora de Tresseni, ricche donazioni che permettono alla Badessa Gabriella di dare al Convento quella “forma di costruzione che meglio rispondesse alle necessita’ claustrali ed al continuo afflusso di vocazioni anche da parte delle famiglie nobili lodigiane.”
Fin dal 1303 infatti suor Gabriella era stata eletta prima superiora delle Clarisse. Governera’ fino al 1326, mantenendo fede all’osservanza della Regola di Santa Chiara secondo Urbano IV che mitigava la poverta’ assoluta con l’accettare i beni e le proprieta’. Nonostante le molte ricchezze del Monastero, la vita che si svolgeva all’interno delle sue mura era oltremodo austera. Rinchiuse in perpetua clausura le seguaci di Santa Chiara attendevano, nella vita contemplativa e di lavoro, alla propria santificazione con digiuni quasi continuati, col silenzio e la rinnegazione di se stesse, con la recita delle ore canoniche di giorno e di notte, col dormire sul duro letto, vestire abiti poveri, rinnovare insomma a Lodi lo spirito del primo Monastero di Santa Chiara in San Damiano d’Assisi. (…)
L’attivita’ del Monastero prosegue piu’ o meno tranquillamente per tutto il XIV secolo e la “quotidiana immolazione delle Clarisse gode di buona e continua reputazione “.(…) La buona fama porta altri lasciti e privilegi: nel 1452 e nel 1482 ad esempio “affluirono” donazioni dai duchi Francesco e Ludovico Sforza. (…)
Ricchezza e vita serena sono segnalate anche nel XVII secolo. Dal Sinodo Lodigiano del 1619 ad esempio che enumera e certifica l’esistenza di ben 52 Clarisse.
Anche le visite pastorali del Settecento testimoniano l’ottimo stato del Convento Santa Chiara.
Ulteriore conferma proviene dalla descrizione fatta, nel 1715, dal padre Bernardino Burocco da Monza: “sono il Monastero e la chiesa di Santa Chiara di struttura nobile, il chiostro e’ sorretto da colonne in pietra, il cenacolo e’ ampio, come le officine e le aule di lavoro e di convegni spirituali, ricchezze di suppellettili sacre, orto e giardini, cinti da alte mura”. (…)
Il Convento delle Clarisse potra’ disporre dei molti beni provenienti dalle varie donazioni fin “nella seconda meta’ del XVIII secolo quando, dopo quasi cinque secoli di vita “prospera e contemplativa” anche se non sempre edificante (le monache in certi tempi non vivevano troppo regolarmente e diedero luogo a rimostranze dei duchi di Milano e delle Comunita’ di Lodi), a seguito del Real dispaccio del 9 febbraio 1782 viene soppresso. L’allora vescovo Salvatore Andreani, unitamente ad altri presuli lombardi, protestera’ scrivendo all’Imperial Regio Delegato Austriaco parole molto dure: “sono inesprimibili i gemiti e i sospiri clamorosi delle povere monache, et amaritudo mea amarissima , per le spinose conseguenze che prevedo”.
La decisione governativa resta inappellabile ed il 5 luglio dello stesso 1782 le 22 clarisse (16 monache e 6 converse) abbandonano per sempre il Monastero. (…)
Col Reale Dispaccio del 29 ottobre 1783 l’ormai “ex Monastero delle francescane di clausura pontificia” viene assegnato alla Congregazione dei chierici regolari Somaschi.
Questi ultimi avrebbero destinato “i locali, rilasciati gratuitamente per graziosa concessione dell’Imperatore Giuseppe II, ad uso di Convitto per i giovani di nobile e civil ceto.”
L’antico Convento trovava cosi’ una nuova e prestigiosa destinazione. (…)
Con la battaglia del Ponte di Lodi il 10 maggio del 1796 Napoleone era diventato il padrone incontrastato della Lombardia. Un primo ed immediato riflesso negativo della nuova situazione politico-militare costringe i Padri Stomachi, al pari di altre comunita’ religiose di Lodi e dell’intera provincia, alla “consegna forzata degli argenti ed ori conservati nella chiesa di Santa Chiara”
Le novita’ di forma e sostanza introdotte dal nuovo regime sono molteplici (idee democratiche) e gli effetti non tardano a farsi sentire anche nel Collegio: “L’inquinamento, specie nella gioventu’, fu rapido e fatale; invano i Somaschi s’adoperarono per arrestarlo.(…)
La presenza dei padri Somaschi nell’antico Monastero durera’, seppur fra alterne vicende, fino al 6 agosto 1798, la Chiesa e il Convitto furono convertiti ad uso di Ospedale per i soldati francesi ammalati .
Dopo pochi mesi, al ritorno degli austriaci in Lodi nella primavera del 1799 anche l’Ospedale Militare venne evacuato.
Dell’ex Convento di Santa Chiara e dei “suoi molti ambienti, alcuni lasciati anche in stato di semi abbandono” si avranno poche notizie certe per tutta la durata della dominazione francese che aveva di nuovo e rapidamente sostituito quella austriaca.
A Lodi, nel 1808, (secondo le disposizioni del Regio Decreto del 21 dicembre 1807) venne istituita a Lodi la Congregazione di Carita’ sotto la cui amministrazione sono poste tutte le istituzioni benefiche della citta’, distinte in due sezioni: una sanitaria ed una assistenziale.
La prima comprende gli ospedali Maggiore e Fissiraga mentre la seconda si occupa, oltre che della gestione delle molte Cause pie e Fondazioni sia religiose che laiche, anche dell’Istituto Elemosiniero, del Monte di Pieta’ con il Tempio della Beata Vergine Incoronata, degli Orfanotrofi maschile e femminile, della Casa d’Industria e di Ricovero.
Quest’ultima istituzione viene attivata il 24 luglio 1809 (epoca in cui si doveva dare esecuzione al Regio Decreto del 20 agosto 1808 che bandiva la mendicita’) e trova inizialmente sede , presso il Convento di San Benedetto. Solo dopo un decennio, aumentando notevolmente il numero dei poveri da assistere, l’ente si trasferisce nei locali del soppresso Monastero, gia’ Collegio ed Ospedale di Santa Chiara.
L’antico Convento torna a svolgere una funzione sociale.
Lo scopo della Casa d’Industria e di Ricovero e’ quello di “supplire alla dilagante mendicita’, di accogliere e nutrire come intervenienti durante il giorno gli inabili a guadagnarsi il vitto e di ricoverare totalmente vecchi e cronici miserabili non obbligati a letto
In pratica una Casa principalmente di lavoro coatto voluta piu’ che altro per eliminare la “spiacevole piaga dell’accattonaggio” dalle vie cittadine.
All’epoca infatti, i poveri mendicanti ed i vagabondi, i cosiddetti “balossi”, erano percepiti come socialmente pericolosi e percio’ bisognosi di un intervento rieducativo a base di lavoro e istruzione religiosa. (…)
E’ l’idea illuministica che considera come negativi gli individui non produttivi socialmente e li destina alla segregazione: i poveri sono infatti accomunati ai vecchi e ai malati, in particolare i “dementi”, giudicati inadatti alla convivenza civile.
Cosi’ la popolazione di questa istituzione, una sessantina di ricoverati piu’ gli esterni, si trova presto ad essere estremamente variegata: poveri accanto a vedove, orfani (soprattutto femmine che venivano in questo modo sottratte al “vizio” e a “scandalosi incontri”), infermi di vario tipo (dal piu’ specifico al piu’ vago: nelle suppliche per l’ammissione si trova traccia di ciechi come di malaticci e di persone dimesse dal manicomio).
Non che l’esistenza della Casa ponesse rimedio all’accattonaggio cittadino, descritto con vivacita’ nei rapporti delle autorita’ poliziesche del tempo.
A questa situazione endemica la Casa d’Industria e di Ricovero cerca di rimediare offrendo assistenza in cambio di lavoro, richiesto ai ricoverati a secondo delle loro capacita’. Si tratta soprattutto di lavori di filatura, opere ad ago e lavorazione della paglia e del vimini.
Disciplina severa, igiene precaria e vitto ai limiti della sopravvivenza sono quanto, con gravi difficolta’, l’ente puo’ offrire: pane, polenta (incerti periodi fino a sei volte la settimana), riso solo nei giorni di festa, completamente assente la carne ed i cibi vitaminici.
La causa della scarsissima “somministrazione del vitto ai numerosi ospiti dello stabilimento” si deve ricercare nel fatto che i proventi derivanti dall’attivita’ dei ricovertai, anche se integrati da qualche generoso lascito di natura privata, sono ben lungi dal coprire tutte le spese di mantenimento. L’instabilita’ dei sussidi dai quali dipendeva la sopravvivenza dell’istituzione non trovera’ mai una reale soluzione per tutto il periodo “dell’autoritario governo asburgico dell’assistenza e beneficenza cittadina”.
Nel giugno del 1869 gli austriaci lasciano Lodi “abbandonando feriti ed ammalati alle cure della Municipalita’” che, dovendo approntare “in fretta e furia uno spazio ad uso Ospedale” per ospitare questa “moltitudine”, decide di utilizzare il complesso di Santa Chiara. In seguito vengono accolti “anche altri feriti delle gloriose armate alleate ed italiane che vanno presto ad aumentare il numero dei ricoverati” in quello che, nel frattempo, e’ diventato il piu’ importante Ospedale Militare della citta’ gestito dal Ministero degli Interni di Torino. Solo verso la fine del 1862, grazie alle numerose e pressanti richieste dell’Amministrazione Comunale preoccupata di recuperare la preziosa struttura, i locali vengono finalmente sgomberati e restituiti alla citta’. Il complesso dell’ex Monastero continuera’ ad ospitare, nei suoi grandi camerini, i poveri di Lodi.
Con l’Unita’ d’Italia anche a Lodi, si costituisce una nuova Congregazione di Carita’ che prende avvio con il regio Decreto del 26 Luglio 1863. (Decreto Reale di Vittorio Emanuele II) Questa nuova istituzione, che mantiene la propria sede nel Monastero delle Clarisse, conta, fra le altre attribuzioni, l’amministrazione dell’Istituto Elemosiniero, del Monte di Pieta’, della Pia Casa di Ricovero (ex Casa di Industria e di Ricovero) nonche’ di altre minori Cause Pie istituite “a favore di determinate persone”. A queste si aggiunge, nel 1865, l’importante Opera Pia per Asili d’Infanzia.
In particolare la nuova Pia Casa di Ricovero si divide in tre sezioni: la Casa di Ricovero stabile, (-…-i posti disponibili nelle camerate, rigidamente suddivise fra uomini e donne, snon piu’ o meno un centinaio-…-) la Casa d’Industria ed il Ricovero di mendicita’.
Spesso, ad integrare le magre risorse della Congregazione di carita’, intervengono alcuni lasciti privati: somme a volte molto rilevanti (sicuramente la donazione piu’ sostanziosa fu quella del Dottor Secondo Cremonesi-1899, (….) successivamente Luigi Ghisi, Luigi Rinolfi, Tranquillo Masconi, Gaetano Pirovano, Angelo Bulloni (….).
Fra il 1887 ed il 1888 “originati dalla volonta’ degli amministratori di continuare nel miglioramento delle condizioni di vita dei numerosi ospiti” e motivati soprattutto dalla necessita’ di trovare altri spazi per l Pia Casa, si effettuano “notevoli lavori di ampliamento e ristrutturazione”.
Durante l’intervento edilizio vengono, purtroppo, demoliti “il bel campanile e l’antica ed artistica chiesa”. (….)
Con la Legge del 3 giugno 1937 viene soppressa la Congregazione di carita’ e sostituita, nelle sue funzioni, dall’Ente Comunale di Assistenza.
Ad esso sono affidate tutte le attribuzioni gia’ assegnate alla vecchia Congregazione, fra cui l’amministrazione della Pia casa di Ricovero, dell’Opera Pia Asili d’infanzia e degli altri istituti assistenziali, antichi o di recente costituzione.
La gestione della Pia casa rimane pero’ a carico dell’E.C.A. solo per due anni.
Nel 1939, infatti, col Regio Decreto del 29 giugno, l’istituto viene decentrato insieme all’Opera Pia Asili d’infanzia dall’Ente Comunale di Assistenza e la sua gestione affidata ad un’Amministrazione autonoma retta dal Consiglio delle OO.PP. Casa di Riposo e Asili d’infanzia di Lodi. (….)
Qualche tempo dopo, col nuovo Statuto Organico (approvato con il Decreto del 1° luglio 1949), l’istituzione lodigiana assume la nuova denominazione di Pia Casa di Ricovero Inabili.
Dopo dodici anni il Consiglio comunale di Lodi “ considerato l’appellativo di Pia casa di Ricovero appare anacronistica ed urta contro il sentimento dei cittadini benpensanti e socialmente evoluti che ritengono il vecchio concetto di beneficenza ormai superato dal moderno concetto di assistenza inteso come dovere sociale”, delibera all’unanimita’ di “sostituire il nome con quello piu’ consono di Casa di Riposo per Vecchi e Inabili”.
La variazione viene approvata col Decreto del Presidente della Repubblica del 12 settembre 1952. (….) Il Consorzio Amministrativo viene sciolto con decorrenza dal 31 dicembre 1971. La chiusura del Consorzio rappresenta l’ultimo momento istituzionale importante per l’Ente, fino al 31 ottobre 1955, anno in cui viene deliberato il nuovo Statuto e contestualmente all’approvazione di quest’ultimo documento, “permanendo nella cittadinanza di Lodi l’abitudine di indicare la Casa di Riposo facendo riferimento al soppresso Monastero di Santa Chiara”,entra in vigore la nuova denominazione di I.P.A.B. Casa di Riposo S. Chiara. (…)
Poi con Delibera del Consiglio di Amministrazione n. 52 del 20 Ottobre 2003 e’ stata trasformata in Azienda di Servizi alla Persona (ai sensi della L.R. n. 1/2003) mantenendo la personalita’ giuridica di diritto pubblico. (….)
(tratto da: SETTE SECOLI DI STORIA A “SANTA CHIARA” di Angelo Stroppa -volume “Dal monastero alla Casa di Riposo” edito da Immagine S.r.l.- anno 2004)